Ci sono artisti che non si limitano a scrivere canzoni, ma che incarnano ogni nota, ogni parola, ogni ferita. Omar Pedrini è uno di loro. Cuore rock e anima fragile, la sua voce ha attraversato decenni, generazioni, palchi e sale operatorie, sempre con la stessa urgenza vitale. In lui convivono la rabbia poetica degli anni con i Timoria, la dolcezza disillusa del cantautore solista, e la forza calma di chi ha guardato in faccia la morte e ha scelto di tornare a vivere – e a suonare – come se ogni volta fosse l’ultima. Ma anche la prima.
di Lorenz Zadro
Omar Pedrini è una delle voci più intense e controcorrente del rock italiano. Nato a Brescia nel 1967, ha fondato e guidato i Timoria, gruppo simbolo degli anni ’90, per poi intraprendere una prolifica carriera solista.
Con album come Beatnik (1996), Vidomàr (2004), Pane, burro e medicine (2006), la raccolta La Capanna dello Zio Rock (2010), Che ci vado a fare a Londra? (2014), Come se non ci fosse un domani (2017), Viaggio Senza Vento – Live in Milano (2020) e Sospeso (2023), ha costruito un percorso musicale segnato da una scrittura viscerale, poetica e mai convenzionale.
Oltre alla musica, Omar Pedrini è anche autore di libri come la raccolta di poesie Acqua d’amore ai fiori gialli (2001) e i memoir Cane sciolto (2017) e Angelo ribelle (2018), dove intreccia vicende artistiche e personali con riflessioni profonde sul tempo, la malattia e la rinascita.
Sopravvissuto a numerosi interventi chirurgici al cuore, ha trasformato la fragilità fisica in forza creativa e testimonianza umana. Parallelamente ha maturato esperienze come docente presso l’Università Cattolica di Milano nel Master in Comunicazione musicale, come conduttore televisivo per Nu-Roads (Rai 2) e come promotore culturale.
In questa intervista, durante uno dei nostri incontri, Pedrini si racconta con la lucidità di chi sa vivere molto intensamente, attraversando il dolore senza mai spegnere la fiamma del rock, riflettendo sul valore della musica, della vita e della resilienza.
INTERVISTA A OMAR PEDRINI
La scrittura dei libri ultimamente pubblicati ti ha aiutato a scavare a fondo nel passato. Forse anche a concepire un nuovo format di concerto dedicato alla ‘riscoperta’ di un’intera carriera?
Sì, devo dire che l’uscita dei miei libri ha favorito la comprensione di tante cose, dallo scioglimento dei Timoria alla vita a volte grama che ho condotto negli anni in cui sono un po’ sparito dalle scene. Invece, per quanto riguarda il tour “Viaggio Senza Vento”, direi che l’episodio scatenante è stato il venticinquennale sua pubblicazione. Quando è uscita la ristampa di questo disco, è arrivato tra le prime dieci posizioni della classifica ufficiale Fimi; questo mi ha fatto capire quanto, nonostante sia passato un quarto di secolo, sia rimasto ancora un disco molto amato.
Sei sempre stato legato ad un certo genere letterario, quello della beat generation. Quanto ha influenzato la tua scrittura musicale?
La beat generation mi ha influenzato molto, soprattutto nella scrittura dei miei testi (il mio immaginario e le connessioni con l’Oriente, la spirituralità, il ‘potere ai giovani’, l’amore per i deboli, la vita on the road...). Beatnik, il mio primo album solista del 1996, era proprio un omaggio a questa epopea che poi si è sviluppata negli anni. Recentemente ho anche avuto l’onore di scrivere una canzone insieme a Lawrence Ferlinghetti – il padre della Beat Generation – canzone che compare nei titoli di coda del suo film biografico ‘Lawrence: A Lifetime in Poetry’, uscito nel 2019.
Il rapporto umano con il pubblico e i fans per te è un aspetto da considerarsi di primo piano. La dimensione live è quindi sacra…
Il rapporto umano per me è tutto, non è mai finito dopo le due ore di concerto, ma è sempre proseguito con la fila di ragazzi che mi aspettavano per un abbraccio, divenuto un rito. Sono un cantante della working class, mi è sempre piaciuto il contatto con il pubblico che non considero un pubblico di fans, ma membri di una comunità, così come tutte le persone che frequentano i miei social.
Hai sempre dato grande importanza ai live: cosa significano per te e per il tuo modo di fare musica?
Nei live, soprattutto per chi come me arriva dal Rock, è abituato a dare il meglio di sé; non c’è nulla che sostituirà mai un live per chi fa Rock!
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