The Matt Project

Con ‘Overnight’, The Matt Project firma un disco maturo, autentico e cosmopolita, capace di unire groove irresistibili e atmosfere rétro in una miscela che sfugge a ogni etichetta. Il trio bresciano-veronese, composto da Jury Magliolo, Carlo Poddighe e Matteo Breoni, torna in scena con il suo quarto album in studio, un lavoro che affonda le radici nella tradizione funk, soul e pop vintage, ma che guarda dritto al presente, con una produzione curata, energica e interamente analogica.

di Lorenz Zadro

‘Overnight’ segna il quarto album in studio per The Matt Project, formazione bresciano-veronese composta da Jury Magliolo (voce, basso, tastiere), Carlo Poddighe (voce, chitarra) e Matteo Breoni (batteria). Fin dagli esordi, la band si distingue per la proposta di brani originali ispirati a sonorità dance e funk, impreziositi da richiami al vintage pop e al soul bianco.

Le dieci tracce inedite che compongono ‘Overnight’ offrono una miscela sonora difficilmente classificabile in un genere unico: si muovono con agilità tra suggestioni differenti, toccando corde profonde dell’ascoltatore. Il risultato è un album energetico, diretto, graffiante e sorprendentemente coinvolgente, fin dal primo ascolto.

Dopo i precedenti lavori – ‘Live! in New York’ (2015), ‘Tripping Out’ (2015) e ‘Silver Linings’ (2017) – questo nuovo progetto rappresenta la piena maturità artistica del trio, riuscendo anche a suscitare interesse oltre i confini italiani.

Le influenze musicali del gruppo spaziano tra giganti come Prince, Michael Jackson, Sly & The Family Stone, Jamiroquai e The Police, punti di riferimento che si riflettono nelle atmosfere e nei groove dell’album. ‘Overnight’ è stato interamente registrato in analogico su nastro e successivamente masterizzato al Poddighe Studio di Brescia, conferendo al disco un’impronta calda, artigianale e autentica.

The Matt Project Live

INTERVISTA A MATTEO BREONI

In questo affascinante viaggio sonoro tra passato e presente – una sorta di itinerario spazio-temporale che collega gli anni ’80 al 2020 – ho colto l’occasione per rivolgere alcune domande al batterista Matteo Breoni.

Matteo, complimenti per la qualità compositiva e la cura tecnica di ‘Overnight’, un lavoro che si distingue come una ventata di freschezza e autenticità sul finire di un anno complesso come il 2020. In un panorama musicale sempre più orientato verso sonorità digitali e produzioni virtuali, la vostra scelta di restare fedeli alla musica suonata con strumenti reali appare quasi controcorrente. Oltre agli artisti già citati come principali riferimenti, ci sono altre influenze che ritenete fondamentali per la vostra identità sonora?

Grazie infinite ìper la fiducia! Siamo veramente contenti del nuovo lavoro, finito dopo due anni e mezzo di gestazione. E’ stato essenziale il lavoro di Carlo Poddighe come arrangiatore e fonico (oltre che autore e musicista) nel suo studio di registrazione e l’enorme supporto di Jury come autore, musicista, creatore di contenuti e di grafica. Ognuno di noi ha contribuito in modo massiccio al progetto. Per quanto riguarda le influenze musicali direi che sono veramente molte, principalmente vanno dalla musica classica al jazz, per poi passare dal classic rock all’afro beat, al blues, al funk e al soul. Tra le altre influenze potrei aggiungere Lucio Battisti, Radiohead, The Beatles, Led Zeppelin, Deep Purple, Rolling Stones, Bob Marley, David Bowie, Fleetwood Mac, Ivan Graziani, T-Rex, James Brown, Billie Eilish, Stevie Wonder, Genesis, Neil Young, B.B. King, Talking Heads, Rossini, Puccini e molti altri ancora.

Il vostro percorso musicale, sia come band che nelle rispettive carriere individuali, è costellato di traguardi importanti e riconoscimenti. Guardando indietro, quali sono stati finora i momenti più significativi o simbolici del vostro cammino artistico?

Come band che ha velleità di suonare senza confini territoriali, direi che i concerti come headliners al leggendario club ‘The Bitter End’ di New York (una ventina di date in 4 anni), live club dove hanno suonato tra gli altri Bob Dylan, Joni Mitchell, Stevie Wonder, Donny Hathaway e Curtis Mayfield, ci hanno fatto capire che possiamo essere una band che può dire la propria anche all’estero, soprattutto in contesti di solito ardui per chi non è anglofono. Abbiamo suonato spesso anche a Londra e ad Amsterdam. Inoltre, la collaborazione con Steve Greenwell (ingegnere del suono di New Jersey, produttore di Joss Stone e molti altri artisti) ci ha fatto aiutato molto nel lavoro in studio, nella ricerca della sonorità e dei dettagli.

Dalle vostre produzioni emerge con forza la volontà di comunicare qualcosa che va oltre le parole, come se la musica stessa parlasse una lingua universale, forse ancor più potente dei testi – che, non a caso, scegliete di scrivere in inglese. Qual è il messaggio o l’emozione che sperate arrivi al pubblico attraverso il vostro sound?

Non abbiamo la pretesa di fare i ‘Bob Dylan’ di turno, cerchiamo di comunicare la nostra visione del mondo, senza la pretesa di essere dei poeti ad ogni costo; siamo onesti con noi stessi in questo senso. I testi in inglese sono sicuramente più adatti alla nostra visione della musica. Le parti strumentali sono una sorta di collante alle parole e si mischiano in un tutt’uno per arrivare all’energia che cerchiamo di trasmettere. Siamo sicuramente una band da live show, più che da salotti filosofici. Ognuno di noi ha progetti paralleli dove si evidenzia anche il nostro lato più concettuale, ma volendo dare un’immagine al progetto, questa band è più una sorta di “cavallo da galoppo”, libero nella natura selvaggia.

Guardando al vostro percorso discografico, esiste un filo conduttore che unisce i lavori precedenti a “Overnight”? In che modo questo nuovo album rappresenta una continuità o, eventualmente, un punto di svolta rispetto al passato?

Cerchiamo di avere uno stile che sia sempre riconoscibile, pur cambiando gli arrangiamenti e le produzioni, onesti con il nostro modo di vedere la musica, senza per forza cadere in cliché modaioli.

The Matt Project - Overnight

 

 

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