Marco Frattini è nato a Milano nel luglio 1976 e dal 2006 audioleso profondo.
Laureato in odontoiatria e protesi dentaria, chef diplomato, autore SIAE, si è occupato di odontoiatria speciale, ma ha lavorato anche come musicista e fonico. Maratoneta e 6 volte campione Italiano per la federazione F.S.S.I, è esperto di sistemi per l’inclusione culturale nella disabilità.
Nel 2013 è sottoposto a due nuovi interventi chirurgici, che determineranno un deficit visivo all’occhio sinistro. Abbandonata la professione odontoiatrica, crea il brand IOVEDODICORSA, specializzato nella produzione, vendita di abbigliamento vario per il running e nella promozione di eventi podistici in Italia e nel mondo: www.iovedodicorsa.com.
Già ideatore del progetto “Il teatro oltre il silenzio”, ha lanciato nella primavera 2015 CiaoRunner, www.ciaorunner.com, il primo social-network al mondo dedicato all’ambito della corsa presentato in occasione della Milano City Marathon.
Nel 2019 acquisisce la piattaforma www.runtheworld.it.
Marco Frattini, l’intervista
Marco, come ti definiresti se ti chiedessi di usare solamente un termine e perché?
Questa volta, me lo concedo: determinato!
Che cosa vuol dire per te correre e che risultati hai raggiunto con la corsa? Che cosa rappresentano per te questi traguardi?
Quello della corsa è stato un viaggio di accrescimento sotto molteplici profili e aspetti. Un percorso che non solo mi ha portato lontano nel senso più mobile del termine ( capitavano sessioni per oltre 300 km a settimana in allenamento), ma mi ha dato tutti quegli input che, per quanto più volte sentiti e riversati addosso, non c’era modo che facessero presa su di me. Correre vuol dire non solo mettersi in gioco fisicamente, ma favorire un percorso a livello introspettivo pazzesco.
Hai scritto due libri che parlano di motivazione, pensi (o ti ritieni) un esempio da seguire in quanto a voglia di “vincere”, in pratica un mental coach e se si perché?
Ho scritto questi libri per me, volevo mettermi alla prova, esattamente come con la corsa. La fortuna vuole che le due esperienze andassero in parallelo: correvo e pensavo. Finivo di correre e riversavo sulla carta tutti i miei pensieri. Inoltre tra le migliaia banalità di cose scritte, ne sono arrivate anche di più interessanti. Ho raccontato la mia quotidianità, cercando di sviscerarla il più possibile secondo una logica quasi Freudiana. Ma non è stata una situazione imposta, è venuta e basta. Ho sentito spesso parlare di subconscio e di scrittura automatica. Non so se si possa contestualizzare in questa definizione, ma credo ci sia andato molto vicino. Di esempi da seguire ne abbiamo a migliaia sotto gli occhi. Onestamente, non augurerei a nessuno di dover fare la fatica che faccio io nella maggior parte delle situazioni. Hai presente il film di Forrest Gump? A un certo punto gli chiedono: “Perché corri? Per la pace nel mondo? Per i disadattati? Per la guerra?” Lui corre e basta.
“Vedere di corsa e ci sento ancora meno”, sicuramente una dose di autoironia non comune.. Da dove nasce questo tuo lato “comico”?
Se parliamo di DNA, arriva senz’altro dai miei genitori, che hanno sempre saputo cogliere le difficoltà con il sorriso, anche se io non lo capivo e ci ho messo un po’ a realizzarlo. Credo sia la fortuna e il dono più grande che mi potessero fare e dare.
Perché la musica? Che cosa rappresenta suonare uno strumento e comporre una canzone per te?
La musica è ritmo, esattamente come la corsa. La musica è fantasia e immaginazione, come cantava Zucchero. La musica ti prende e non ti lascia più. I musicisti lo sanno: la trance musicale che ti inebetisce, magari ripetendo e suonando solo le stesse 2/3 note. I Pooh cantavano: chi femerà la musica? Nessuno potrà mai spegnere quel fuoco che cresce e si autoalimenta vibrando.
Nella tua vita hai dovuto fare i conti con la disabilità, come ti vedi e come vedi il mondo riguardo l’inclusione e la possibilità per tutti di poter fare “tutto”?
Rispondo con una provocazione: hai mai corso una maratona in 2.48 o un km in meno di 3’? Chi è il disabile? Ho avuto la fortuna per anni di lavorare in un reparto di odontoiatria speciale che è quel ramo che si occupa di prestare cure a persone a cui sono state diagnosticate le patologie e le condizioni più inverosimili. Al di là del fatto che una diagnosi è solo una catalogazione, non solo ti accorgi di come le persone possano accettare in maniera più o meno consapevole il proprio stato d’essere, ma soprattutto capisci che una normalità assoluta non esiste. La normalità sta nel vivere per quello che si è e non per quello che si vorrebbe essere.
Quali sono i tuoi “sogni nel cassetto”, ovvero che cosa hai ancora da raggiungere per sentire di essere una persona “realizzata”?
Questa è una domanda trabocchetto: al momento ho solo bisogno di togliermi un po’ di sassolini dalle scarpe e augurarmi di non prendere le famose lucciole per lanterne. La realizzazione di un individuo va di pari passo con la sua accettazione. Accetto di essere quello che sono e di mettermi in gioco se posso e se riesco, ma soprattutto mi guardo bene dal non essere preda di pregiudizi e di valangate di frustrazioni altrui.
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