Dal beat italiano di periferia a New York, dal festival di Woodstock a Milano, l’esperienza di un protagonista della controcultura musicale italiana. Oggi, cinquant’anni dopo, è ancora in studio con i suoi compagni di viaggio. Una testimonianza preziosa su un tempo irripetibile.
di Lorenz Zadro e Davide Grandi
Simon Luca: l’intervista
Iniziamo dagli esordi. Come ti avvicini alla musica?
In famiglia la passione per la musica è sempre stata una costante. Sono nato a Piacenza. Da bambino i primi rudimenti sul pianoforte. All’inizio degli anni sessanta, la famiglia si spostò a Milano. Liceo classico, Qui formai il mio primo gruppo ‘I Semplici’. Suonavamo in diversi locali di Milano e conobbi il produttore Aldo Pagani con cui ho iniziato a conoscere il mondo professionale con il beat, pubblicando alcuni singoli con lo pseudonimo di ‘Alberto Oro’. La mia curiosità di adolescente e poi di giovane di scoprire il mondo e viaggiare, era tanta. E così ho sempre fatto viaggi con spirito di avventura, spesso da solo. Tra i viaggi fuori dall’Europa, quello del 1969 è stato quello più ricco di sorprese che hanno inciso non poco sulle mie scelte seguenti. La mia meta: San Francisco. Un vero pellegrinaggio culturale: la beat generation, Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac… ma non rimasi fermo lì, mi spostai da viandante anche per diverse miglia, In quel periodo non ho mai portato con me nessuna macchina fotografica per vivere il viaggio in totale immersione. E in quei momenti volevo assorbire tutto: capire culture nuove, nuovi suoni, odori, colori.
Un’esperienza immersiva. E poi?
Il ritorno a New York per il volo di rientro in Italia, ma una casualità cambiò tutto: venni a sapere di un evento con nomi della musica giganteschi. Il 15 agosto a Woodstock, cittadina non troppo lontana da N.Y. Così cambiai il biglietto di ritorno – era il 12 agosto – zaino e sacco a pelo in autostop per il festival di Woodstock. Percorso complicato dal fatto che il luogo non era più quello sui manifesti, ma a Bethel, cittadina a circa 70 miglia. Eravamo in tanti. A lato della grande musica e riferimenti alla stessa, impressa su tutti i dischi, documentari e libri dedicati, Ho potuto vivere un evento leggendario. Per me quel 15 agosto ha rappresentato uno spartiacque per il mondo musicale, come riferimento di un prima e di un dopo. Ho vissuto quei giorni come un’esperienza di assoluta armonia e pacificazione, una sensazione che non ho mai più ritrovato in nessun altro degli eventi a cui ho partecipato.
Come fu il ritorno in Italia?
Sconvolgente. L’Italia della musica, tranne rari casi, mi sembrò grigia, retrograda, indietro di almeno vent’anni, una realtà chiusa e schematica. Mancava la gioia avventurosa del fare musica. Tutto sembrava fatto con un calcolo specifico legato alle vendite, in modo preconfezionato e precondizionato. Ma per la mia esperienza la musica doveva essere vissuta con gioia. Avevo in mente di formare un gruppo ‘open’ ispirato alla Factory di Andy Warhol, o alla Bauhaus di Walter Gropius o di analoghe situazioni molto ricche di scambi tra arti e cultura diverse, non solo musicali. Così proposi il mio progetto al compianto Aldo Pagani, a cui ancora oggi devo tanto per tutti i suoi insegnamenti legati all’ambito discografico e musicale. Ancora una volta, ascoltò la mia esperienza e decise di produrre il mio primo album e che avrebbe proposto anche questo.
Nel 1970 esce quindi il primo album ‘Da Tremila Anni’ e contemporaneamente prende forma il collettivo dell’Enorme Maria, un progetto decisamente visionario. Vuoi parlarne?
Il titolare dell’etichetta discografica Ariston decise che era molto interessato alla mia proposta della formazione molto eterogenea di un gruppo chiamato Enorme Maria, sintesi di un concetto legato ad un’America molto matriarcale, un’America che condizionava le avventure dei propri figli, convincendoli che l’onore dell’entrare in guerra (il riferimento è alla Guerra del Vietnam, ndr), avrebbe reso onore a tutta la famiglia. In questo contesto pressorio molti ragazzi, condizionati da questa mentalità, si sentivano addirittura felici di onorare non tanto la propria madre, ma piuttosto la grande Madre Patria. Con quel proposito, avevo scritto due brani chiave ‘Everybody’s Gotta Drink Another Round With Me’, che raccontava il momento top di un ragazzo texano che era fiero di partire per il Vietnam, e ‘Ridammi la mia anima‘ che descrive non già una infelice storia d’amore per una donna, ma invece la disperata richiesta alla Madre Patria di un uomo tornato reduce e rovinato. Argomenti ritenuti all’epoca troppo sensibili, che fecero impallidire la casa discografica, costringendomi ad attraversare le paludi della commissione censoria e della censura televisiva.
Il discografico accettò di pubblicare l’album dopo un anno e mezzo, ma soprattutto dopo essersi consultato a lungo con tutti i suoi collaboratori. Fu così che si concretizzò il sogno di un collettivo aperto, dove musica, poesia, arte grafica e fotografia convivano assieme. Dopo le prime comunicazioni si presentarono oltre quaranta elementi che accolsero con entusiasmo questo nuovo spazio underground fatto di sale prova, registrazioni, incontri. Tutti artisti giovanissimi, l’embrione di tutto il rock milanese che rispondevano al nome di Alberto Camerini, Marco Ferradini, Eugenio Finardi, Ricky e Gigi Belloni, Claudio Bazzari, Walter Calloni, Fabio Treves, Paolo Donnarumma, Flaviano Cuffari, Pepè Gagliardi, Alberto Mompellio, Ronnie Jackson, Claudio Ciampini, Flavia Baldassari, Lalla ed Eloisa Francia, Lella Esposito, Donatella Bardi, Franco Orlandini e molti altri… un mondo creativo ed esplosivo, un collettivo con una gioia di partecipazione che andava oltre il normale, senza avere la minima sensazione di quello che sarebbe poi successo.
Anche la copertina dell’album ‘Per Proteggere L’Enorme Maria’ fece discutere.
Fu una incredibile intuizione e realizzazione grafica del grande Mario Camerini, fratello di Alberto.
Inizialmente l’’Enorme Maria’, rappresentata in modo sarcastico, molto abbondante, morbida e accogliente, doveva tenere tra le dita della mano destra un joint, particolare che la commissione censoria vietò nel modo più assoluto. Fu così che Mario tolse il joint ma allungò il dito medio della mano sinistra! Un gesto provocatorio e assolutamente molto ironico! Diventò ben presto un’immagine iconica di quel tempo, arrivando al punto di superare di gran lunga il contenuto di ciò che voleva rappresentare.
Com’era il lavoro in studio?
Tutti gli artisti intervenuti nell’Enorme Maria, prendevano parte ai concerti per i quali ci spostavamo con un pullman da 50 posti e anche alle registrazioni in sala dove abbiamo sempre registrato dal vivo, con il limite di un multitraccia iniziale a quattro piste. In sostanza anche registrare in studio era un po’ come suonare dal vivo. Era una formazione davvero open e dinamica, l’unica a quel tempo, dove colori e suoni cambiavano in continuazione anche in base agli strumentisti che imbracciavano lo strumento. E siccome spesso non tutti potevano essere in scena come band, chi non suonava uno strumento, entrava nel coro, una cosa non inusuale tra musicisti. Gli stessi brani assumevano così sfumature diverse e intenzioni diverse, influenzando anche me con improvvisate idee di testo. Negli studi di registrazione erano presenti anche amici, compagni di università, artisti che non suonavano ma entravano tra quelle mura, si sedevano per terra in silenzio, con il solo desiderio di partecipazione. era un mondo naïf. La musica era fatta con il cuore, senza calcolo, senza pensare al successo. Si viveva a pieno l’attimo in comune, in un dialogo di arti varie.
‘Un figlio dei fiori non pensa al domani’, ma essere nell’Enorme Maria per molti dei giovanissimi musicisti presenti in formazione, rappresentò un passaggio importante…
Era la mia volontà precisa. Volevo che tutti i musicisti che aderivano al mio progetto trovassero nel tempo la propria strada. Del resto erano tutti musicisti giovanissimi, molto curiosi e di grande talento. In quegli anni di fermento si frequentava molto la Galleria di Piazza Pattari a Milano dove si trovavano molti editori, discografici e anche le prime etichette discografiche indipendenti come Cramps, Bla Bla e molte altre.
Gran parte dei musicisti che hanno preso parte all’Enorme Maria hanno trovato la propria strada di successo nel mondo del cantautorato o sono diventati musicisti per lungo tempo a fianco di grandi della musica come Mina, Battiato, Lucio Dalla, Patti Pravo, Milva, … evidentemente l’esperienza è stata importante nell’imparare gli equilibri dell’essere parte di un insieme, partecipando per raggiungere un fine comune, che è l’armonia.
Simon Luca oggi
Un approccio quasi opposto a quello odierno.
Assolutamente. Oggi la musica è vittima della spettacolarizzazione e della massificazione. Il modo di intendere i social al giorno d’oggi ha reso tutto più vuoto, Ha portato ad una cancellazione di un dialogo costruttivo, anche tra pubblico e artista. Sempre oggi, chi partecipa ai talent non dà dimostrazione di essere sicuro di sé e, nel non esserlo, rende inconsapevolmente protagonisti, con il giusto rispetto per quei ruoli, il giudice, il vocal coach, il team di autori, l’editore di turno ma non sè stesso. Tutto ciò porta a mediocrità e appiattimento delle proposte. Metaforicamente mi viene da dire ‘vasi vuoti riempiti da altri’ e questo può solo portare ad uno stato di sofferenza. D’altronde, avete mai pensato se Tom Waits, Joe Cocker, Ray Charles o Tina Turner sentissero esigenze simili?
In tutti questi anni sei sempre rimasto musicalmente attivo.
Ho avuto la grande fortuna di avere potuto scrivere brani per Mina, Milva, Ornella Vanoni, Iva Zanicchi, Mal, Marco Ferradini, Rosanna Fratello, Wess & Dori Ghezzi e tanti altri, Ho scritto molte colonne sonore per film, documentari e spot pubblicitari, alcuni molto premiati. Ho fondato un’associazione come ‘Muovi la musica’ e tante altre iniziative a favore della diffusione della musica di qualità. Poi nel 2018 alcuni amici mi hanno convinto a scrivere di nuovo per un mio album. Così nel 2019 ho realizzato l’album Mastico Asfalto con sette brani inediti e la partecipazione di alcuni dei miei grandi dell’Enorme Maria. Poi la pandemia ha fermato tutto e ho potuto pubblicarlo solo nel 2022. Però con mia grande e piacevolissima sorpresa, l’album ha ricevuto importanti riconoscimenti di critica sia dall’ Italia che dall’estero. Realizzato tutto dal vivo in studio, come mia consuetudine, in compagnia di musicisti straordinari come Marco Leo e gli UJIG e di ‘vecchi’ amici dal cuore grande come Fabio Treves, Claudio Bazzari, Amedeo Bianchi, Lalla Francia.
Sappiamo che stai lavorando ad un nuovo disco, puoi già anticiparci qualcosa?
Ora sto appunto incidendo un nuovo album dal titolo Musical City.
Da ‘Per proteggere l’Enorme Maria’ sono passati più di cinquant’anni. Io non ho mai voluto riproporre le stesse cose, pensando che un artista vive e racconta la realtà che sta vivendo e non il suo passato. Certo sono rimasto amico fraterno con tutti i membri dell’Enorme Maria. Abbiamo vissuto insieme momenti importanti. Così li ho avvisati dell’idea di registrare un nuovo disco, e con stupore che mi ha scaldato il cuore, tutti hanno voluto tornare in sala per incidere. Anche questa volta si sono donati al progetto con lo stesso spirito dello stare assieme, in memoria della magia creatasi in quegli anni ’70. Un’emozione unica per me!
Siccome l’idea era quella di unire età e mondi musicali diversi, di fronte ad un concetto musicale che li sapesse coinvolgere creando un linguaggio comune, ho interpellato anche un trio di musicisti jazz di alto profilo e un gruppo di giovanissimi di rock alternativo, i ‘Golden Hind’. Questo per far intendere che la musica che parla davvero, che supera le barriere della lingua e delle differenti età può parlare a tutti raggiungendo le emozioni più profonde trovando cuori aperti e braccia pronte ad abbracciare.
Un messaggio che va controcorrente rispetto alla direzione della società attuale.
Sì, la società manipola e modifica pensieri e comportamenti. Io invito a non ascoltare queste sirene, ma a restare sempre aperti e vivi. Ho avuto la fortuna di condividere il palco con i Bee Gees, l’Electric Light Orchestra ed altri artisti internazionali. Non ho mai percepito nessuna barriera, solo rispetto. Mi trattavano alla pari e così facendo mi spronavano e credere che anch’io avrei potuto farcela, dimostrandomi che ricordavano come erano stati loro stessi agli inizi della carriera.
Simon Luca, ti ringraziamo di cuore per questa interessantissima intervista.
Non mi dovete ringraziare, anzi, sono io che ringrazio voi, perché da una generazione come la vostra arriva la curiosità per qualcosa che forse altri dimenticano, mentre voi no! Quindi nella realtà delle cose vi devo ringraziare io, per essere stati qui ad ascoltare questi racconti di una realtà che non avete vissuto.
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