Spesso ci capita di sentir parlare di legislazione a tutela dei vini italiani, sappiamo bene di cosa si tratta? Cerchiamo di far un po’ di luce con questo breve articolo.
Ogni qual volta che acquistiamo una bottiglia di vino, o siamo in procinto di farlo, possiamo facilmente e chiaramente notare che sulla stessa appaiono differenti indicazioni di legge che possiamo – per chiarezza – paragonate alla carta d’identità del vino e dell’azienda che lo produce. Tra queste indicazioni obbligatorie ne troviamo alcune che ne certificano un’ulteriore qualità.
Proviamo a scoprire assieme il loro significato.
La legislazione a tutela dei vini italiani
È già dai primi anni Sessanta che l’Italia legifera continuamente, e con una maggior severità rispetto a tutti gli altri Stati membri della Comunità Europea, a tutela del vino con interventi che riguardano tutti i settori, dalla viticultura all’enologia, dai coadiuvanti alle sostanze che si possono aggiungere al vino, dall’etichettatura al materiale di moltiplicazione viticola e altro.
Non esiste, perciò, passaggio che non abbia una legge che ne tuteli la trasformazione, ovvero quel processo che va dal semplice grappolo d’uva fino al vino imbottigliato che troviamo sulla nostra tavola.
Con l’avvento della nuova OCM (Organizzazione Comune del Mercato), della DOP (Denominazione di Origine Protetta) e della IGP (Indicazione Geografica Protetta) la normativa europea ha avuto una nuova riforma con importanti regolamenti in merito alla varietà delle viti, delle superfici coltivate e dei trattamenti enologici, oppure in merito alle regole di mercato interno ed esterno e degli organismi di controllo.
Il disciplinare di produzione
Anche il disciplinare di produzione – quindi zona di produzione, tipo di vitigno, le pratiche viticole e i metodi di vinificazione – hanno subito variazioni legislative che ha determinato, tra l’altro con l’ultimo giorno dell’anno 2010 il termine ultimo per l’utilizzo delle vecchie etichette.
Secondo la legge il vino è definito come “il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica, totale o parziale, di uve fresche, pigiate o meno, o di mosti di uve”.
Le uve devono appartenere solamente alla specie Vitis Vinifera oppure ottenuta da incroci tra le uve di questa specie, mentre non sono ammesse uve di vitigni americani o ibridi europei-americani, a causa della loro scarsa qualità che comporta una bassa acidità, uno scarso grado zuccherino (quindi scarsa gradazione alcolica) con la conseguente formazione di alcol metilico durante la fase di vinificazione.
Tutta l’Europa è suddivisa in zone viticole in funzione della prescritta gradazione zuccherina. L’Italia, che ricade nella zona C, è divisa in 3 zone:
- minimo 8% vol. per la zona viticola CIb (Valle d’Aosta, province di Sondrio, Trento, Bolzano e Belluno)
- minimo 8,5 % vol. per il rimanente territorio non compreso nelle zone CIb e CIIIb
- minimo 9% vol. per la zona viticola CIIIb (Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna)
Le categorie dei vini italiani seguono un criterio determinato dalla vigente legge DL n. 61 dell’8 aprile 2010 (Tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini) e che disciplina le seguenti categorie:
- DOP: per vini a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) e i vini a denominazioni di origine controllata (DOC)
- IGP: per i vini a indicazione geografica protetta e tipica (IGT)
La DOCG e la DOC sono le tradizionali menzioni specifiche utilizzate dall’Italia per designare i prodotti vitivinicoli DOP, mentre l’IGT – in egual modo – è la menzione utilizzata per designare i vini IGP, ovvero una sorta di carta d’identità del vino dove possiamo vedere la provenienza, la zona di produzione con le relative condizioni ambientali, la resa massima per ettaro, la gradazione alcolica minima naturale dell’uva, colore, sapore, odore, grado alcolico minimo complessivo, l’acidità del vino al consumo e l’eventuale periodo di invecchiamento.
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