Quando si parla di vini spumanti, ossia i vini con le bollicine, occorre fare un distinguo molto importante: il metodo con cui vengono aggiunte le bollicine al vino, ossia come viene spumantizzato.
La spumantizzazione avviene con l’introduzione di lieviti all’interno del vino appena ottenuto dalle uve: i lieviti si nutrono della parte zuccherina contenuta nel vino e derivante dall’uva. Consumando lo zucchero, rilasciano anidride carbonica che dona al vino le bollicine che tanto amiamo.
I due metodi principali per ottenere anidride carbonica nel vino sono: il metodo classico e il metodo Martinotti.
I METODI PRINCIPALI PER PRODURRE VINI SPUMANTI
Metodo Martinotti o Charmat
Il Metodo Martinotti (dal nome dell’enologo che per primo lo brevettò, Federico Martinotti) detto anche metodo Charmat.
Il vino viene messo in un’autoclave, viene aggiunto un composto formato da zucchero e lieviti e, in tempi relativamente brevi, quest’ultimi svolgono gli zuccheri in anidride carbonica.
A questo punto il vino viene imbottigliato facendo attenzione a non perdere la preziosa bollicina ottenuta e viene messo in commercio.
Si usa questo metodo per uve aromatiche, che, in una sosta troppo lunga a contatto dei lieviti come avviene per il metodo classico, potrebbero perdere i loro principali sentori freschi. Il vitigno con cui viene utilizzato principalmente questo metodo è il Glera, da cui si ricava il Prosecco, famoso e apprezzato in tutto il mondo.
Metodo classico
Il Metodo Classico è il più antico e nobile procedimento per ottenere il vino spumantizzato.
La leggenda vuole che l’invenzione del metodo risalga alla seconda metà del 1600 ad opera di un monaco benedettino francese, dom Pierre Perignon (vi ricorda nulla?) che viveva in un monastero nella regione di Champagne in Francia.
Il vino prodotto viene imbottigliato e gli vengono aggiunti dei lieviti che (come per il metodo Martinotti) si mangeranno lo zucchero contenuto nel vino, rilasciando anidride carbonica.
Questo processo, a differenza del Martinotti, avviene direttamente in bottiglia: al vino viene aggiunta soluzione composta da zuccheri e lieviti e viene poi lasciato riposare in alcuni casi anche per anni, donandogli l’inconfondibile sentore di pane e lievito tipico degli spumanti ottenuti con questo metodo.
Le bottiglie, che devono essere spesse (per sostenere la pressione causata dalla produzione di anidride carbonica al suo interno) e scure (per proteggere il prezioso nettare dalla luce), vengono tenute in ambiente controllato (cantina) in posizione orizzontale, finché il produttore non decide che è giunto il momento di bere il prodotto.
A questo punto si pone il problema di togliere i lieviti (che ormai sono esauriti) dal fondo della bottiglia, senza perdere le preziose bollicine che si sono formate e che daranno la caratteristica al vino.
Inizia così il processo di remuage. Le bottiglie vengono lentamente portate in posizione verticale, muovendole di pochi gradi al giorno e contemporaneamente ruotandole anche qui di pochi gradi al giorno: questo serve a raccogliere tutti i lieviti esausti dalla bottiglia e a portarli verso il collo.
A questo punto viene congelato il collo della bottiglia e con esso i lieviti, che possono così essere tolti più facilmente. Questa manovra si chiama degorgement.
Una volta tolti i lieviti, il liquido nella bottiglia deve essere riportato ad un livello adatto alla vendita: sia aggiunge quindi il liqueur d’expedition, un composto di vino e zucchero secondo la quantità decisa dal produttore. Ogni produttore ha il proprio liqueur, la cui ricetta è custodita gelosamente.
Una quantità maggiore di zucchero in esso darà vita a vini più amabili come i demi sec, mentre una quantità minore, o addirittura l’assenza, porterà a vini come gli extra brut o i pas dosé.
A questo punto si tappa la bottiglia con i tipici tappi da spumante con la gabbietta, per meglio contenere la pressione dell’anidride carbonica contenuta nel vino, e il nostro prezioso nettare è pronto per essere commercializzato e bevuto.
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