Renzo Arbore intervista di Lorenz Zadro per A-Z Press

Renzo Arbore a dispetto dei suoi 87 anni, risponde con puntuale e sagace ironia: «Che vuoi sapere ancora su di me? Non sai già tutto? Anzi, forse sai troppo…».

Renzo Arbore, nato a Foggia il 24 giugno 1937, dopo la Laurea in Giurisprudenza a Napoli, nel 1964 vinse un concorso alla Rai iniziando una lunghissima carriera di conduttore radiofonico con programmi come Bandiera Gialla (1965), Per Voi Giovani (1967) e Alto Gradimento (1970), passando poi alla televisione, dove ha creato storiche trasmissioni come L’Altra Domenica (1976), Quelli Della Notte (1985) e Indietro tutta! (1988).

Dopo il cinema (con due film: Il Pap’occhio, nel 1981, e FF. SS. Federico Fellini South Story, nel 1983) ha ripreso la sua carriera di musicista, aggiudicandosi un secondo posto al Festival di Sanremo e fondando poco dopo la Barilla Boogie Band, gli Swing Maniacs e l’Orchestra Italiana, nel 1991, con cui pubblica numerosi album e tiene concerti in tutto il mondo.

L’attore, presentatore, cantante e musicista e regista ha visto nascere le trasmissioni, scrivendo le pagine più innovative, arrivando oggi a festeggiare i sessant’anni di carriera dal suo esordio alla radio.

Lorenz Zadro intervista Renzo Arbore

Leggendo il libro ‘E se la vita fosse una jam session?’ ho appreso che il primo contatto con il jazz, lo swing e la musica afroamericana in genere, fu quando ancora era bambino, costretto a dividere casa con gli americani… Quanto fu determinante nella sua crescita?

«Fu molto determinante. Furono proprio queste le occasioni in cui venni a conoscenza – grazie ai primi ascolti – di artisti come George Gershwin, Big Bill Broonzy, Josh White e, in genere, i primissimi bluesmen. Mi accorgevo che erano tutti giri armonici simili tra loro, affascinanti e profondi, cui allora, non conoscendone la storia, mi domandavo come potessero esser nati.

La cosa sconcertante è, visti tutti questi anni passati, come il Blues sia ancora vivo e vegeto e si sia evoluto nel rock’n’roll, nel ryhthm’n’blues e contaminato, addirittura con il rap e l’hip hop. La cosa buffa è che, ancora oggi, quando ci si ritrova tra musicisti, siano essi jazzisti o appassionati di Blues, se per scaldare l’atmosfera non sappiamo cosa fare, iniziamo ad improvvisare un giro Blues in FA. E chi non lo sa fare? Viene subito accantonato perché significa che non ha compreso l’essenza di questo ‘giro armonico straordinario’ (risate)»

Già nella prima metà degli anni ’60, grazie al suo lavoro come programmatore radiofonico Rai, aveva già fatto entrare nel gergo italiano la professione del “disc jockey americano”. Nel 1967, in particolare, ebbe l’incarico dalla Rai per una puntata radiofonica – prevista per il Venerdì Santo – che prontamente ribattezzò come ‘Settimana Santa ad Harlem’, sostituendo la consueta programmazione con una scaletta di canti Spirituals e Gospel americani, che sono canzoni in ugual modo religiose. Quali furono le reazioni?

«Questa esperienza fu il mio ‘biglietto da visita’ appena entrato in Rai, grazie ad un concorso. Il primo ruolo era quello di ‘programmatore radiofonico’ di musica leggera ed ero ancora timidissimo. Fu poi l’incontro con Gianni Boncompagni la vera chiave di volta per creare un programma alternativo.

Esattamente come dici tu, la programmazione radiofonica della Settimana Santa prevedeva una scaletta di musica leggera, se non addirittura con canti di chiesa. E in questo ‘mortorio’ (risate), con scaltrezza, misi a frutto ciò che avevo avuto modo di conoscere musicalmente in precedenza. Così, proposi brani di Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Mahalia Jackson, Bessie Griffin, Golden Gate Quartet e molti altri…Gospel e Spirituals, insomma.

Fu un’idea rivoluzionaria per l’epoca e così li feci conoscere al grande pubblico italiano. A quel punto ricevetti una telefonata da parte del Direttore Generale di Radio Rai, chiamato a sua volta dal Direttore Generale Rai Ettore Bernabei, precedentemente chiamato dal Presidente della Camera, Brunetto Bucciarelli-Ducci, poiché quest’ultimo avrebbe avuto il piacere di avere una copia della registrazione della trasmissione. Fu l’imprimatur: “Questo Arbore è bravo!”, si decise.»


Scaletta-di-Settimana-Santa-ad-Harlem_Archivio-Rai

Scaletta di Settimana Santa ad Harlem (Archivio Rai)


L’ultima intervista a lei dedicata sulla Rivista ‘Il Blues’ risale a settembre 1988. Era intitolata “In principio era il Blues…” tributando a sua volta il titolo del suo primo articolo scritto per la rivista ‘Big’. Il Jazz, il Blues e lo Swing sono oggi generi conosciuti in Italia e si è evoluto numericamente anche il pubblico grazie a molti eventi dedicati. Mi permetta di dire che la sua opera divulgativa è stata fondamentale in tutti questi anni di spettacoli e televisione e che molti italiani siano stati positivamente contagiati per tal ragione. Che effetto le fa vedere le conseguenze di questi sviluppi dopo aver contribuito in gran parte a questo cambiamento?

«Ricordo molto bene questo primo articolo! Agli inizi era impensabile immaginare che sonorità nuove per l’Italia di allora, così semplici e allo stesso tempo affascinanti, perdurassero in tutti questi anni. Questa è la prova schiacciante che il Blues così come la musica delle tradizioni sono molto efficaci nella loro formula spesso essenziale ed è per questo che quando v’è modo di farla ascoltare è impossibile che questa musica non arrivi dritta al cuore delle persone.

L’evoluzione di questo vibrante fermento e l’interesse nella riscoperta del ‘vintage’ si rispecchia sia nella musica (grazie a molti valorosi musicisti) ma anche nella moda e nel ballo. Il ritorno di questa ‘febbre’ tout court per le tradizioni degli anni ’40-’50, non può che rendermi orgoglioso di aver vissuto la giovinezza in quel periodo e in qualche modo di averne tracciato la strada, qui in Italia. Del resto – dedicato ai musicisti – per raggiungere un certo valore artistico non v’è per forza la necessità di suonare molte note, il Blues è efficace nella sua semplicità e nella sua essenza.»

Come nacque l’idea e perché sentì l’urgenza di ideare l’ambizioso progetto musicale che corrisponde al nome di ‘Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana’?

«L’idea di riproporre la canzone napoletana tradizionale, nasce dalla mia frequentazione dell’ambiente jazz. Sono passati più di trent’anni da quando avvenne l’esordio dell’Orchestra Italiana e il tutto è maturato nel corso delle tante jam sessions che si svolgevano a casa mia. Cambiavano i musicisti, ma le jam finivano immancabilmente con l’esecuzione di canzoni napoletane; mi sono così reso conto che non c’è jazzista al mondo che non conosca i classici della canzone napoletana. Ecco come è nata l’esigenza, e la voglia di riscoprire e riproporre questo repertorio, anche perché in cuor mio avevo il timore che certo straordinario patrimonio musicale finisse nel dimenticatoio, maltrattato quasi. La canzone napoletana tradizionale, non è seconda a nessuno, i testi sono delle autentiche poesie e le melodie trovano eguali solamente nella canzone messicana.»

Tra le ultime pubblicazioni di Renzo Arbore c’è il singolo ‘Esattamente Come Tu’ (contenuto nel cofanetto ‘Arbore Plus’ del 2017), un ennesimo intreccio di swing, genialità, cultura e divertimento. Prevede una novità discografica in questa direzione?

«È sempre divertente e anche se ormai non ho più vent’anni mi auguro vivamente di averne nuovamente la possibilità!»

La volevo omaggiare con una copia dell’album ‘The Blues Masters: an Italian Tribute’ un album che vede la presenza di molti valorosi musicisti italiani impegnati, in questa produzione, nella reinterpretazione di alcuni brani composti dai Maestri del Blues d’oltreoceano.

«Grazie Lorenz, mi hai fatto un bellissimo regalo! Guarda un po’ chi c’è qui… riconosco i Blue Stuff (impegnati nella reinterpretazione di “From Four ‘Till Late” di Robert Johnson, ndr), Guido Toffoletti & Herbie Goins (nella loro versione di “I’m Ready” di Willie Dixon, ndr) e Veronica Sbergia e Max De Bernardi (impegnati in “Long As I Can See You Smile” di Memphis Minnie, ndr). E guarda quanti i Maestri del Blues inseriti…Skip James, T-Bone Walker, Bo Diddley, Muddy Waters…sono curioso di ascoltare queste loro versioni. Lo ascolterò sicuramente e lo metterò tra le mie cose più care, grazie! In bocca al lupo per tutti i tuoi progetti e viva il Blues!»

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