Oggi, più che mai, stiamo avvertendo il vuoto assordante lasciato dalla musica e da tutto ciò che ruota attorno ad essa. Da questo periodo di “chiusura” ne è uscita fortemente danneggiata, ma non di certo ridimensionata nel suo ruolo: la musica c’è e continuerà ad esserci!
E tra le varie funzioni che svolge una è certamente quella di raccontare: una situazione, un evento, un determinato momento storico; la musica come storytelling.
Così ho deciso di parlarvi proprio di una di quelle canzoni che al meglio riesce ad esprimere ciò, una di quelle che ci permette di conoscere, che ci fa riflettere, che ha qualcosa da dire: “Alfredo”.
I Baustelle, gruppo indie-rock toscano formatosi nel 1996, attraverso le voci di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi raccontano con intima sensibilità la delicata vicenda. Grazie anche all’utilizzo della voce parlata, a tratti sembra quasi di essere catapultati in una di quelle messe domenicali in cui il prete di provincia, con cadenza cantilenante, ripete la solita liturgia.
Ed effettivamente il sacro ed il profano si mischiano nel testo e nella storia raccontata dai Baustelle, dove il primo elemento è richiamato dalla presenza di Dio. Un dio che con l’avanzare del testo viene visto in chiave dissacrante, in quanto dall’alto dei cieli si limitava a guardare “il figlio suo”, senza salvarlo; un figlio che con “la terra in bocca” non riusciva a respirare la Sua volontà, una volontà che: “non ricordo bene…sei nei cieli”.
Ma a chi si stanno riferendo i Baustelle e soprattutto perché avrebbero dovuto scomodare addirittura la figura di Dio, per di più rappresentandolo non nella sua veste salvifica a cui ci hanno abituato le Sacre Scritture ed in generale la visione cristiana?
Quale premessa necessaria a tale risposta urge sottolineare che noi non siamo qui a commentare/criticare l’orientamento religioso del gruppo, né tanto meno a presupporre la visione cristiana quale unica strada percorribile; stiamo più che altro cercando di capire il senso del testo, cercando di dare risposte all’ascoltatore che si trova, magari, ignaro di fronte a tali parole.
Il perché è indissolubilmente legato, per l’appunto, alla vicenda, a quanto accaduto. Un fatto tristemente noto alla cronaca, una storia che ha indelebilmente segnato il nostro Paese, che ha tenuti attaccati al televisore milioni di italiani (“in diretta lo mandò”) e che era arrivata addirittura a coinvolgere le più alte cariche dello Stato, tra le quali l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. La storia di, come anticipato dal titolo, Alfredo.
I Baustelle e il piccolo Alfredino
Era l’estate del 1981 quando Alfredo Rampi, un bambino di poco più di sei anni, stava trascorrendo le sue vacanze estive nella seconda casa di famiglia a Vermicino, nei pressi di Frascati; quando una sera, verso l’imbrunire, mentre passeggiava nella campagna circostante col padre e due amici di quest’ultimo, chiese di poter percorrere da solo l’ultimo tratto di strada. Purtroppo, nessuno poteva immaginare che Alfredo non avrebbe più fatto ritorno da quel maledetto ultimo tratto, egli cadde in un pozzo artesiano dall’imboccatura larga a mala pena 30 centimetri e scivolò giù incastrandosi ad una profondità di 36 metri dal livello del suolo. Ed è in quel momento che “Alfredino”, nome col quale venne ribattezzato dai media data la sua esile corporatura e la sua tenera età, vide il “pezzetto bello tondo di cielo d’estate” sopra di lui restringersi inesorabilmente.
“Tutta questa gente ha già capito che, ho sbagliato, sono scivolato, son caduto dentro il buco”, proseguono i Baustelle; tutto il Paese si accorse della gravità della situazione, ma lui non aveva colpe, non aveva sbagliato, era solo un bambino che correva spensierato in un prato. Sin da subito scese in campo un gran numero di soccorsi, “quelli dei pompieri, i Carabinieri”; l’operazione di recupero era difficile e delicata, ma tutta l’Italia tifava per Alfredo. E dopo un primo tentativo di recupero fallito, persino la Rai si mobilitò, riuscendo con le sue apparecchiature a comunicare con il bambino.
Purtroppo però, negli ulteriori tentativi di salvataggio, nei quali vennero addirittura scavati dei cunicoli laterali per raggiungerlo, Alfredo scivolò nuovamente “nel fango gelido” e finì ancora più in profondità, a circa 60 metri dal livello del suolo. Il cielo divenne un punto sempre più distante e Alfredo inizia a non vederlo più.
L’ultimo disperato tentativo fu quello di un volontario giunto dalla Sardegna: Angelo Lichieri, il quale, data la sua corporatura, si calò coraggiosamente nel pozzo arrivando sino a toccare il piccolo Alfredino e riuscendo quasi ad imbragarlo; ma “l’uomo ragno m’ha tirato un polso, si è spezzato l’osso”.
Era la notte del 13 giugno quando, dopo tre interminabili giorni, i sogni del bambino cominciarono a confondersi con la realtà, “dormo oppure sto sognando, perché parlo ma la voce non è mia”. Alfredo oggi avrebbe 46 anni.
“Alfredo”, la canzone
Attraverso questa canzone, contenuta all’interno dell’album “Amen” del 2008, quando i fatti si presuppone fossero noti ai più, i Baustelle hanno voluto mostrarci la cruda realtà vista dagli occhi del bambino, cercando di restituire alla vicenda la dignità che in parte era stata sottratta da quell’eccessiva esposizione e spettacolarizzazione mediatica a cui era stata sottoposta.
Ed è nella dualità del testo che risiede la genialità dell’operazione di scrittura degli autori, nel duplice volto della canzone. Dove nelle strofe è Alfredo che in prima persona racconta quanto stava vivendo, restituendoci dunque una “nuova” visione dell’accaduto. L’utilizzo del testo spezzettato evidenza al meglio, facendo immedesimare l’ascoltatore, quello stato d’animo confusionale in cui il piccolo bambino era venuto improvvisamente a trovarsi.
Mentre nel ritornello viene riportata la realtà cronachistica di quanto invece stava accadendo in superficie. Questa volta però in una chiave di denuncia, una denuncia nei confronti di quel modus operandi, di tutta quell’esposizione mediatica, che aveva “sbattuto” in diretta nazionale un tale dramma. Allo stesso tempo, questo articolo non vuole inserirsi in questa “macabra” scia, in una mera cronologica narrazione della vicenda, quanto piuttosto vuole porre l’attenzione proprio sulla sopracitata funzione della musica, su quel compito che essa ha e svolge. Voglio dunque evidenziare il ruolo del testo di una canzone quale storytelling e ricordo, nel nostro caso di Alfredo.
Una musica che attraverso le sue note ci permette di non dimenticare quanto successo a quel bambino e che gli ha permesso, seppur metaforicamente, di uscire da quel dannato pozzo, facendolo “rivivere” ogni giorno sino ad oggi.
Affinché non venga mai dimenticato, affinché quella melodia, la stessa che intrinsecamente vive e risiede all’interno del cuore di ogni bambino, risuoni per sempre.
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