Franz Campi attore e cantante

Franz Campi è un personaggio difficilmente etichettabile, “uno strano animale” come si definisce ma – indubbiamente – srotolando la sua carriera non possiamo che restare stupiti da quante cose abbia fatto.

Cantautore, compositore, attore di teatro, presentatore, ideatore di eventi, è difficile non vederlo impegnato in uno dei tanti progetti che lo riconoscono quale protagonista, con professionalità e gusto.

Abbiamo un po’ tutti avuto il piacere di ascoltare “Banane e lampone” la canzone che ha scritto per Gianni Morandi, oppure assistere agli omaggi teatrali al grande Django Reinhardt, Fred Buscaglione o Giorgio Gaber.

Tutti progetti curati nei particolari, con un grande lavoro di ricerca alla base per renderli reali e adatti ai tempi. Una cura che il buon Franz Campi mette anche nei progetti degli eventi che organizza, ed è proprio grazie ad uno di questi, intitolato “Tieni il palco” che lo abbiamo conosciuto ed intervistato.

 

Franz Campi

Franz, di te sappiamo che hai fatto veramente tanto a livello artistico, mosso da una grande passione per la buona musica e per l’arte in genere. Raccontaci brevemente chi è Franz Campi.

Quando sto studiando il testo di una canzone o di una parte che devo interpretare in un nuovo spettacolo, magari con le cuffie nelle orecchie mentre passeggio cercando di tenermi in movimento, ecco che un pensiero, il flash di una citazione di un libro che ho appena finito di leggere, una persona che incrocio per strada, un cartellone pubblicitario… mi ispirano una nuova produzione. E in un attimo mi ritrovo a cercare di inventare una melodia, un testo, a pensare come realizzare un altro spettacolo teatrale, ad inventarmi un modo diverso per intrattenere il pubblico nel prossimo appuntamento… È un modo di essere che non ho scelto. E’ una voracità, una bulimia creativa che non mi ha mai dato tregua. L’unico cruccio sono i limiti di budget con cui devo fare i conti: non frequentando il campionato di serie A devo sempre aggiustarmi con i mezzi di cui dispongo. Ma fino ad ora i risultati, nel mio piccolo, sono sempre arrivati e forniscono combustibile per nuovi viaggi. E così, partendo dalla musica pop, con l’ironia come codice principale del mio linguaggio, sono passato dall’esibirmi al Festival di Sanremo al lavoro come autore per altri. E siccome mi piace tantissimo la Storia mi sono messo a studiare e raccontare storie di altri. Però mi sono subito accorto che i tre minuti e mezzo di una canzone sono troppo brevi per essere esaustivi. Quindi per uno che ama cantare e raccontare, ecco che l’approdo al teatro-canzone è stata la scelta più azzeccata. Chi l’aveva capito bene fu Rino Maenza, un uomo di grande intelligenza, uno dei fondatori della prima radio libera italiana, degli studi Fonoprint di Bologna e che per anni ha affiancato come manager Carmelo Bene. Fu lui a produrre i mei primi lavori: “Ciao, Signor G.” dedicato a Giorgio Gaber e “Sono Fred dal whisky facile” in onore di Fred Buscaglione. Da lì in poi ho portato in scena tanti altri spettacoli di questo tipo come quelli dedicati a Django Reinhardt, Alberto Rabagliati, al cibo, alla storia dell’arte, alle donne nel corso dei secoli, ai celebri duetti della canzone italiana e addirittura alla storia della Mortadella, il salume più celebre al mondo… E poi, un paio di anni fa, un’esperienza tutta dedicata alla prosa, dove sono stato protagonista in uno spettacolo in cui interpreto un pazzo che è convinto di essere nientepopodimeno che Giuseppe Verdi. Una gran faticata, ma una soddisfazione enorme. Insomma, oltre trent’anni di attività nel mondo dello spettacolo senza annoiarmi mai. La laurea in Giurisprudenza e una più che probabile carriera in azienda che avevo iniziato a percorrere con un’esperienza in RAI e successivamente a Milano in Fonit Cetra, sono ricordi lontani di un’altra vita che non sentivo mi appartenesse veramente. Uno se scopre di essere tondo è inutile che finga di essere quadrato. Anche se economicamente converrebbe.

Principalmente sei un cantautore, nato e cresciuto in una regione particolarmente portata per questo genere di forma comunicativa. Quali sono state le tue principali influenze e come sei riuscito a creare la tua personale musica?

Ho iniziato da ragazzo imbracciando la chitarra come milioni di altre persone. Dalle nostre parti, a Bologna in particolare, negli anni ’70 le sei corde erano protagoniste della vita delle nuove generazioni. Si cantava in spiaggia, nelle gite, in campagna e nelle osterie. E in quegli anni c’erano i cantautori: Guccini, Bennato, De Gregori… Ho poi imparato ad ascoltare di tutto. Prima partendo dalla west cost americana con Crosby, Still, Nash & Young e poi sono arrivato al Blues, al Soul, al Rock, alla Disco.. Sono tornato indietro allo Swing, alla musica irlandese.. per poi risalire fino ai giorni nostri dove però fatico ancora a trangugiare la trap e il rap. Ad ogni modo tutti i generi hanno il proprio fascino e bellezza e ancora oggi scopro nuovi fantastici musicisti che mi incantano. Adesso, per esempio, sono in delirio per il chitarrista brasiliano Yamandu Costa e ascolto tutto quello che trovo della sua fantastica produzione. Ma non voglio nascondermi… ci sono due stelle che brillano nel mio firmamento musicale e sono Fabrizio De Andrè e Paolo Conte. Artisti che raccontano storie bellissime, che dipanano cosmogonie attraverso struggenti mix di musica e liriche. Le loro canzoni precipitano nelle miserie e nelle contraddizioni della vita di ciascuno di noi. Hanno stili e intenti diversi ma entrambi comunicano con una perfezione che raramente si trova altrove. E le voci.. Quelle due fantastiche voci. Che carisma. Che poesia.
Io, nel mio piccolo, ho cercato un mio linguaggio, creando un mondo di brevi film in musica dove il sentimento, che può essere l’amore, la paura, la rabbia… cerca sempre modi diversi e non banali per esprimersi, per arrivare al “vissuto” di chi ascolta, proprio attraverso una canzone.

Sei anche legato parecchio all’ambiente, con un occhio di riguardo per il fiume Po, al quale hai anche dedicato una canzone. Come mai il Po che da Bologna non passa?

Le radici della mia famiglia sono in quel lembo di terra al confine tra il modenese, il ferrarese e il mantovano. Noi “Campi” siamo gente della Bassa. Mio padre scrisse un bellissimo libro, il Caminon, che racconta proprio di quelle genti, della vita semplice e faticosa di chi aveva a che fare con la campagna, con le bestie e con i capricci del grande fiume. Per me, che per integrare le entrate mensili mi occupo di comunicazione per la Regione Emilia-Romagna proprio nel settore ambiente e che conduco il programma tv Zorba, dedicato appunto ai temi dell’ambiente e della salute, avere un rapporto di grande amore e rispetto per l’arteria vitale della nostra penisola, è più che naturale. Quando scrissi “Il fiume” e vinsi il premio letterario “Città di Ceggia” con questa canzone fu una grandissima soddisfazione. L’arrangiamento ricorda i suoni del country-blues in omaggio ad un altro grande fiume: il Missisippi. Un ramo della mia famiglia in cerca di fortuna si trasferì a Clarksdale, proprio da quelle parti, ritrovando un altro grande fiume sotto casa. Quando si dice il destino… Grazie proprio ad altri appassionati come te e altri bravissimi fotografi ho da poco realizzato con Barbara Murtas un omaggio al Po con un suggestivo collage di bellissime foto. Sentire che siamo in tanti sensibili su questo argomento fa bene al cuore e fa ben sperare.

Il progetto “Tieni il palco” è molto interessante, perché vuole portare la musica in luoghi nati per tutt’altra attività, quali i Centri Commerciali. Cosa ha spinto Franz Campi ad ideare questo progetto?

Da anni collaboro con il gruppo Klepierre. “Tieni il palco” è nato dall’idea di Marco Agusto, responsabile del centro Shopville Gran Reno di Casalecchio (BO) che mi ha voluto come Direttore artistico e con cui programmiamo da tempo delle bellissime stagioni di concerti ed altri eventi. Oltre ad essere un abile manager, ha una grande passione per la musica e rispetto per chi fa questo mestiere. A tutti i livelli. Mi ha dato fiducia e insieme siamo riusciti a creare una fantastica nuova realtà nel panorama della musica di base italiana. Ne tutti orgogliosi. La manifestazione si è sviluppata in 5 anni coinvolgendo anche altri spazi come Milanofiori alle porte di Milano. Abbiamo offerto l’occasione di esibirsi dal vivo ad oltre 1.000 musicisti. Non è un risultato scontato come numeri e neppure è facile riuscire a organizzare musica dal vivo con regolarità nei cosiddetti “non luoghi” che qualcuno guarda ancora con diffidenza. E invece è proprio lì dove c’è la gente che la musica deve essere portata. Non come riempitivo, come sottofondo, ma come protagonista. E’ un modo di considerare i “mall” non semplici contenitori consumistici per acquistare beni o fare la spesa, ma come possibilità di vivere e condividere esperienze. La musica, il cibo e gli spettacoli sono il sale della convivenza. Proprio nell’ultimo anno, in cui la pandemia ci ha privato di tutto questo, ci siamo resi conto di quanto ci manchino questi momenti. I centri Campania, vicino a Caserta, e Nave de vero, a due passi da Venezia, sono stati costruiti proprio prevedendo aree specifiche per lo spettacolo e rappresentano esattamente questo concetto. A Gran Reno sono ora in corso i lavori che presto permetteranno di offrire al pubblico addirittura due arene, una al coperto con i ristoranti e un palco fisso con giganteschi mega screen intorno, ed una all’aperto per il cinema, il pattinaggio su ghiaccio e la musica. Anche uomini di marketing come Federico Buelli, con cui collaboro per la gestione del contest, e addirittura il direttore di Klepierre Italia, Gino Antonacci, sono grandi appassionati e conoscitori di musica. Pensate che proprio grazie a questa filosofia in alcuni centri ogni estate vengono programmati dei Festival dedicati al jazz e alle sue contaminazioni con artisti di livello mondiale come Al Jarrau, Patti Austin, Richard Galliano, John Patitucci, Dee Dee Bridgewater, Gino Vanelli, The Yellowjackets, Michel Camilo, Mike Stern e Randy Brecker, Stanley Clark… La grande musica dal vivo. Così da coniugare il commercio e la ristorazione con l’arte. Una strategia che punta a valorizzare a 360 gradi il talento di chi sa suonare, di chi è capace di regalare emozioni. Anche attraverso un contest per chi sta facendo i primi passi nella musica o per chi si diverte con gli amici in una cantina. Ma chi viene selezionato per esibirsi ha a disposizione gli stessi palchi, gli impianti e i tecnici dei grandi protagonisti della scena internazionale. Da noi niente karaoke su pedane male illuminate e casse sfiatate. E il pubblico è quello vero. Se non “arrivi” alla gente, passano e vanno. Ma quante volte ho assistito alla scena di persone con il carrello pieno di spesa che si bloccavano incantati ad assistere alla performance di perfetti sconosciuti che proponevano una loro nuova canzone…

Franz Campi leader della Fred <Buscaglione Band

“Tieni il palco” ha riscosso grandi consensi e la partecipazione di un vasto numero di concorrenti ne sono la conferma, così come la presenza di giudici di grande fama nazionale, tra cui anche il nostro amico Guido Giazzi, anch’esso “vittima” di una nostra intervista, oltre a Francesco Paracchini dell’Isola Che Non C’era, un altro caro amico.

Il segreto del successo di questo format credo sia il coinvolgimento di grandi professionisti e partner. Sono partito cercando tra i miei contatti personali quelli con cui avevo maggiore confidenza e un consolidato rapporto di stima reciproca: Music Academy, San Luca Sound, il MEI di Giordano Sangiorgi… E piano piano il cerchio si è allargato fino a scoprire nuove relazioni e sommare sorprendenti accordi. Ora sono decine le aziende del settore partner di #Tieniilpalco, ma c’è tanto lavoro dietro. Quando stavamo per approdare a Milano ho consumato le scarpe per diversi giorni come un piazzista presentandomi alle varie scuole di musica, riviste del settore, sale prove, studi di registrazione per convincerli a salire a bordo. La concorrenza è forte nel mercato. Sono sempre stato dell’idea che per stare ai vertici occorra fare squadra: facendo leva su questo concetto sono riuscito a persuadere tanti altri a entrare in campo con noi. E grazie a personaggi del calibro di Francesco Paracchini i “live” di Milanofiori si tenevano in presenza di tantissimi giudici altamente qualificati. Una garanzia di serietà e di valore per chi si mette in gioco partecipando al concorso che, voglio ricordare, è sempre a iscrizione gratuita.
La pandemia ha temporaneamente bloccato il progetto di espanderci in altre due importanti aree, al Sud e al Nord e purtroppo nel 2020 ci siamo accontentati di una versione “on line”, ma non vediamo l’ora di offrire nuovi palchi a tutti i migliori progetti che si iscriveranno alle prossime edizioni.

Abbiamo gioito nel vedere tra i vincitori i Gospel Book Revisited, ma è stato bello notare come fosse ampio il ventaglio di generi musicali proposti dai tanti concorrenti. Questo è un bel segnale che sta a significare che i giovani – a cui l’evento è dedicato – hanno ancora voglia di fare musica di qualità. Cosa pensi in merito?

La voglia di comunicare fa parte della natura umana. Ai tempi di Omero le storie si raccontavano probabilmente al ritmo del suo bastone che teneva il tempo, o di antichi liuti. Poi i canoni e i cori nel teatro greco, più tardi le liturgie cantate e l’opera… ma alla fine la canzone, spingendoci in un terreno di conflitti ideologici per cui sicuramente creerò dei permali, è risultata la formula vincente per arrivare direttamente al larghissimo pubblico. Ne sono così convinto che ho anche firmato, insieme a mio figlio Andrea, un audiolibro che racconta la sua storia in Italia. E sono sempre più convinto che le nuove generazioni prediligano questa modalità per esprimersi e sentirsi parte del momento storico in cui stanno vivendo. La canzone in pratica come il miglior trattato di sociologia in grado di descrivere epoche e culture. E’ lo specchio dei tempi. Come sta celebrando la Mostra NOI in giro per l’Italia, alla cui realizzazione a Bologna avevo anche partecipato curando laboratori e visite guidate. Ma la qualità spesso è sepolta dal frastuono della plastica, delle mode del momento, della superficialità. Però quando una band o un giovane autore riescono a trovare un proprio linguaggio, a allontanare la banalità nei testi, a scovare un sound espressivo, a non accontentarsi dei soliti campionamenti, a suonare e interpretare insomma… bè.. ecco che arrivano i fiori e il senso di compiutezza della propria missione di musicista: arrivare al cuore di chi ascolta e lì farsi un nido nella memoria. I Gospel Book Revisited, per esempio, hanno stile, eleganza e mettono una grande cura nelle loro produzioni. A partire dal video che hanno confezionato e con cui hanno incantato i giurati di questa web edition di Tieni il palco.

Restando in tema di giovani, cosa possono (e devono) fare le generazioni più adulte per dare a loro la possibilità di fare musica di alto livello?

Quando vedo certe carampane in televisione a ripetere i bolsi riti del passato, a cantare vecchi successi toppando negli acuti che sono ormai fuori dalla propria portata, mi cadono le braccia. Se hai ancora qualcosa di nuovo da dire sei benvenuta/o. Charles Aznavour era in pista dopo i 90 anni… Ma gli altri ? Molte colonne della musica italiana potrebbero fare qualche passo indietro e scovare qualche nuovo talento da aiutare. Non dico di trasformarsi in Attiano, il fedele tutore di Adriano nel magnifico romanzo firmato da Marguerite Yourcenar, ma almeno darsi da fare per trasmettere esperienza, amicizie, contatti e conoscenze a chi lo merita. Magari affiancando dei giovani nel loro percorso. Visto mai che scorra anche nuova linfa, ed idee, nelle vene?

Da buon bolognese non poteva mancare la tua presenza nel mondo della pallacanestro locale, tuo l’inno della Fortitudo basket. Come vivi il mondo dello sport?

Nell’anno appena passato, all’alternarsi dei vari lockdown, ho ripreso ogni tanto a frequentare, alla mattina prima di iniziare il lavoro, il playground vicino a casa. Mi impongo, da ex sportivo, delle routine di tiri da fuori per mantenermi un poco in forma. Il basket è stato al centro della mia vita per molti anni, prima che si accendesse la scintilla per la musica. E sono stato anche un fan scatenato. Ho giocato nelle giovanili sia della Fortitudo che della Virtus, con cui ho disputato i campionati nazionali in Sicilia. Ma poi, nel tempo, ho assunto un rapporto sempre più distaccato con il tifo. A me piace il gesto atletico, le tecnica, la testa, il sovvertimento dei pronostici… e chi compie l’impresa è il mio beniamino a dispetto dei colori che indossa. Rimango un tifoso biancoblù, la squadra per cui ho scritto insieme a Stefano Nosei e Gaetano Curreri degli Stadio l’inno proprio nell’anno del primo scudetto. Uscì per Natale e a giugno eravamo per la prima volta campioni: una grande emozione. Poi ho avuto modo di scrivere la sigla del campionato di Lega2 per le dirette della RAI. Insomma, basta che mi dai una palla a spicchi in mano e io vado a nozze…

Questo anno all’insegna del Covid ha bloccato pressoché tutte le attività artistiche, ma fermarsi è vietato. Come pensi dovrà evolvere il modo di fare spettacolo dal 2021 in poi?

E’ un bel rebus. A me piace la storia. E la storia insegna che queste faccende, dalla “peste antonina” nell’antica Roma, a quella del ‘300, alla bubbonica nel 1630 e infine alla spagnola, tengono banco per diversi anni. Noi abbiamo capito che con la mascherina e altre precauzioni si limita la diffusione, e per fortuna disponiamo anche dell’arma dei vaccini. Speriamo che tutto migliori più in fretta. Ma in ogni caso, la vita, la normalità, hanno sempre preso il sopravvento dopo qualche anno. E anche io non vedo l’ora si possa tornare a creare assembramenti senza problemi. Nel frattempo non possiamo spegnere tutto, bensì riconsiderare lo spettacolo con canoni diversi. Meno persone in presenza, più attenzioni e purtroppo meno guadagni per chi fa questo mestiere.. ma le stesse fantastiche emozioni che si riescono e si devono trasmettere con la musica.

Per finire, hai altri progetti nel cassetto di cui vorresti parlarci, o sono ancora top-secret?

In uno slancio di incredibile ottimismo sto lavorando a tanti progetti. Mi hanno cercato in diversi, io sono un entusiasta e ho detto “si” a tutti…. Tre rassegne culturali e musicali per l’estate e due nuovi album. Entrambi di inediti: uno in studio e uno registrato dal vivo. Non pubblico un album mio dal 2004, il materiale non manca… Però con il Covid che picchia duro, probabilmente alla fine non riuscirò a realizzare nulla di questo. Allora mi metterò con le zampe all’aria, qualche buon libro, un bicchiere di lambrusco e una bella compilation di nuovi brani di artisti di talento. C’è di peggio nella vita.

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